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2014

 

Ritratti di un io nomade

 

“... tempo, brucia-candela

passa il fiume tra i sassi di cemento, gabbia di ferro

sotto il fango che cresce

si asciuga nel sole, agosto

fitta trama, cretto, Burri

poi un seme si attacca al cemento, poi al fango

poi cento semi...”

(Franco Donati, “Stato di Famiglia”)

31 gennaio 2005

 

 

Evocazioni, fantasmi e apparizioni: quelle che i segni, apparentemente casuali di Franco Donati vengono costruendo e aggrumando, che nascono da un perenne viaggio di un io inquieto, che sembra rapportarsi col reale fuori di lui solo attraverso lo specchio, la nebbia, un vedere che è non vedere, non potendosi fidare degli occhi che creano colori che egli sa che non esistono, non condivisibili. Rimane dunque uno spazio ristretto nel quale muoversi con l’ansia di raggiungere una alterità che sempre sfugge e dunque il tatto si sostituisce alla vista: sono le foglie, le pietre, i sassi, le gocce di cui Donati continuamente parla come fonte di ispirazione, basi della ricerca e compagne nella creazione. Non a caso egli sintetizza questo percorso con la frase “confronto e continua voglia di ricerca cercando quello che nella terra porta al cielo”.

Ma la terra di Donati è ancora in parte l’originario globo coperto dalle acque .

Del resto la goccia, l’acqua hanno la stessa funzione del vetro: sono un diaframma che lasciano l’artista al di là del reale, isolato nel suo labirinto che è il corpo con il quale la mente dialoga, ma anche si scontra, frantumandolo nel suo immaginario in membra, ossa, frammenti fino all’infinitesimo del capello e dei peli.

Una fisicità che si scontra con un sogno di leggerezza ed essenzialità che cerca e trova ombre con cui imparentarsi, fantasmi che diventano lo specchio del voler essere più che del quotidiano disorientato esistere. Ed è così dalla parola – che è insieme ricordo – che affiorano i volti amici di poeti, pittori, musicisti a comporre

una personale “Repubblica” di affini e di destini contorti, tormentati, ma sempre tesi a coprire nel cuore il reale, alla ricerca del verbo che non muta, definitivo, di un assoluto che è faro e disperazione insieme. La parola risuona come un’eco dentro Donati che provoca onde di segni che sembrano nascere da un processo di scrittura ipnotica, da un automatismo inconscio che si aggruma e addensa in volti frammentati, in icone leggibili, eppure ancora instabili, evanescenti, anche se riconoscibili nelle deformazioni che ne tratteggiano con sapiente identificazione, affettuosa partecipazione, quasi rispecchiata condivisione, la singolarità psicologica, i segreti tormenti, il vagare dei pensieri.

Con l’emergere della figura il foglio sembra acquistare una dimensione temporale, per cui non è difficile che altre immagini, più o meno definite, appaiano, dando un senso di raggiungimento di un punto fermo, come negli antichi bozzetti disegnativi dei maestri nei quali diverse figure, anche tra loro non apparentate, costituivano studi, concretarsi di ideazioni, appunti della memoria e dell’emersione di qualcosa che forse non si cercava ma che è bene fermare.

 

Franco Donati crea le sue opere in pittura e in incisione con lo stesso spirito delineando immagini che sono affioramenti di un viaggio nel nebbioso presente: certo àncore di salvezza, ma anche risposte a parole interiori non meno frammentate e frantumate, acciottolate da onde psichiche originate da un disagio e da una inadeguatezza autentica, sofferta, lancinante nel suo desiderio di comunicare, di trovare voci consentanee, riflettenti, che sappiano moltiplicare le parole e trasformarle nella completezza di un discorso, di una frase dal senso compiuto.

Anche i riferimenti al passato, ad antiche civiltà, a leggende e miti ormai desueti in realtà non sono per l’artista forme da rimpiangere, ma parole del presente, termini come si diceva che sono insieme frammenti di memoria e sensazioni, per cui proprio Franco Donati che ha scritto in una poesia di “Esplorando l’io”, del 2003, : “Mi sento col tempo, passato/meno futuro, mai presente.”, in realtà è proprio testimone del momento, prigioniero dell’oggi, del qui e dell’ora, e da questa piattaforma attira con il suo magnetismo inconscio e automatico il presente e le vibrazioni del futuro. Franco Donati è totalmente presente, proprio perché prigioniero di un labirinto, i cui viali tutti uguali riportano allo stesso punto.

I ritratti degli scrittori e dei pittori che egli sente sodali non lo portano nel tempo e nella condizione dei ritrattati ma è lui che li trascina nel suo labirinto, dove le esperienze tattili, il toccare e il sentire, diventano emozioni, sensazione, pensiero, quindi parola. E’ la costruzione di un eterno presente, di un limbo dal quale la sofferenza, il dolore e la tragedia sono esclusi, in una perpetua atarassia, in una ben calcolata e sapiente sospensione di ogni squilibrio, proprio perché tutto si tiene in un continuo rimando da un senso all’altro, da un pensiero all’altro fino all’affioramento dell’inconscio che diventa come il brodo primordiale, lo spazio nel quale tutto fermenta, tutto prende forma in una instabilità che non permette di avvertire il dolore.

Lo spazio viene dilatato così, mentre il tempo si contrae e si raggruma, in un unico nucleo, in un bozzolo denso e compatto.

 

 

Marzio Dall’Acqua

 

Parma – Bologna 30 dicembre 2013

 

Franco Donati e i taccuini della memoria

 

Chi non ha mai pensato, almeno una volta, di tenere un diario? Magari da bambini suggestionati dalla scoperta del “Giornalino di Gian Burrasca” o, più tardi, per il desiderio di esternare piccoli segreti o timide speranze. Alcune persone, fra quelle con particolari doti di sensibilità e di comunicazione espressiva che definiamo “artisti”, realizzano questa diffusa vocazione attraverso il disegno, trasferendo su privati quaderni le visioni destinate nel tempo a divenire lo specchio segreto del loro essere. Franco Donati è uno di questi. Fin da ragazzo porta sempre con sé un piccolo taccuino sul quale disegna nei momenti più impensati.

Suppongo che ormai ne abbia riempiti tantissimi, tutti simili, conservati dentro qualche cassetto o allineati nella zona meno accessibile della sua libreria. La prima volta che lo vidi disegnare su uno di questi notes rimasi perplesso dal tipo di carta, un colore giallognolo simile a quella che si usava una volta nelle macellerie. In realtà, toccandola, si sente che è carta di grande qualità, ruvida e spessa; le pagine a contatto con le dita rispondono con l’inconfondibile suono “croccante” delle carte pregiate. Su questi taccuini poco più grandi di un moderno iphone da cinque pollici Donati, disegnando con la penna a sfera come si usa fare per la scrittura più rapida e confidenziale, trasmette in tempo reale per ogni soggetto le immagini che l’umore gli detta. Una lunga serie di disegni fitti di segni, di note e spesso di particolari ingranditi, compongono la galleria di opere racchiusa in questi piccoli album, ognuno dei quali rilegato con un rigido cartone. Da questi appunti nascono tutte le incisioni di Franco Donati che, fra le tantissime pagine, estrae anche a distanza di tempo il soggetto di ogni sua opera per trasferirne ancora intatta l’emozione sulla lastra, ampliandone le dimensioni in un’ideale proiezione della memoria.

In queste opere è difficile non avvertire un disagio di fondo, una velatura di tristezza che svela l’ansia e il malessere interiore dell’autore. Da anni Donati lotta con i fantasmi che periodicamente lo aggrediscono condizionandone l’umore, l’aspetto e le relazioni. Le visioni dei suoi soggetti, filtrate da questi condizionamenti, si traducono in opere di assoluta originalità espressiva. I ritratti dei famigliari e degli amici più cari sono intervallati da numerosi autoritratti che, col passare degli anni, lo accompagnano nelle fattezze di un corpo che sente estraneo e che nel 2011 gli fa scrivere:

“... Sopporto da poco tempo il confronto con gli occhi dello specchio, pochissimi gli autoritratti cattivi, malinconici, inaccettabile il cambio di peso che invadente è entrato sotto la pelle e mi ha espanso nello spazio...”.

Questa condizione influenza anche le visioni legate ai ritratti di noti personaggi - artisti, politici, filosofi, santi e cantanti - tutti trasfigurati dalla tensione espressiva dell’artista ed enfatizzati attraverso un’assoluta padronanza delle tecniche calcografiche.

Nel tempo questa personale galleria si è ampliata fino a mescolarsi, in un unico cocktail di volti e di caratteri, con i soggetti della sua sfera più intima. Nell’assieme queste tavole assumono una parvenza omogenea, in sintonia con la corrosiva visionarietà dell’autore che ancora scrive:

“... Rifletto, sulle geografie di un corpo-mappa, che traccia le sue linee e coi polpastrelli ne cerca i confini per meglio conoscere, per sopportare e forse per andare oltre quei confini.”

 

Marco Fiori

 

Bologna, 20 gennaio 2014

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